Come cambierà la disciplina relativa agli agenti sportivi?

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La discussione sull’ammontare dei compensi percepiti, in ambito calcistico, dagli agenti sportivi (stimati dalla Fifa, solo con riguardo ai trasferimenti internazionali conclusi nel quinquennio 2016-2020, in 2,5 miliardi di dollari, ossia in un importo pari all’8% del valore complessivo delle somme versate dai club per le sottostanti cessioni), nonché sull’incidenza finanziaria e negoziale esercitata da tali pretese economiche – specie con riferimento ai calciatori in scadenza di contratto – ha rinnovato l’interesse sul tema di un possibile intervento riformatore della disciplina in questione, al punto tale che più di un club ha voluto farsi portatore di specifiche proposte (su tutti la Fiorentina di Rocco Commisso).

In realtà, è da tempo che la Fifa – dopo aver liberalizzato, nel 2015, l’accesso alla professione ed aver demandato, sulla base di una serie di propri principi minimi, la specifica normazione del settore a ciascuna federazione nazionale – ha aperto, sul punto, un tavolo di confronto con i principali esponenti della categoria, manifestando (a quasi un decennio di distanza dalla citata “deregulation”) la volontà di riappropriarsi della potestà di regolamentare, in modo diretto e con maggior dettaglio, lo svolgimento della professione di agente sportivo.

Un primo e concreto intervento si è peraltro già registrato con l’introduzione, all’interno del neo-istituito Fifa Football Tribunal, di un camera (la “Agent Chamber”) che sarà deputata, sulla scorta di quanto già previsto ante 2015, alla risoluzione delle controversie relative ai contratti di mandato conclusi dagli agenti nell’ambito di operazioni internazionali.

Per ciò che invece attiene alle novità di carattere sostanziale, l’orizzonte temporale della novella pare essere fissato nel prossimo 2023 ed avrà presumibilmente ad oggetto una serie di significative modifiche all’odierna impostazione (alcune fortemente osteggiate dalla categoria) inerenti all’accesso alla professione, alle modalità di esecuzione dell’incarico, nonché alla misura dei compensi ed alle modalità di pagamento.

Quanto al primo aspetto, parrebbe esserci la volontà della Fifa di reintrodurre – quale presupposto per l’accesso alla professione su base mondiale – un esame di abilitazione volto ad accertare, in virtù di un test per larga parte presumibilmente uniforme in tutte le singole federazioni, specifiche competenze tecnico-giuridiche del candidato. Al riguardo, è bene infatti ricordare che, perlomeno in Europa, gli unici paesi che subordinano oggi l’iscrizione negli appositi registri agenti al superamento di una prova sono soltanto la Francia e l’Italia (dove peraltro la prova è duplice e deve essere sostenuta prima presso il Coni e poi presso la federazione calcistica), rimanendo invece l’accesso a tali elenchi, nella altre federazioni, condizionato al solo versamento di una quota annuale ed al possesso di minimi requisiti di buona condotta.

Anche con riguardo alle modalità di esecuzione dell’attività tipica, sembra, almeno in parte, prospettarsi un ritorno al passato, laddove risultasse confermata la preannunciata ipotesi di un ridimensionamento dell’attuale possibilità dell’agente di assumere liberamente “rappresentanze plurime” nell’ambito della medesima operazione. Se, infatti, prima del 2015 all’agente era consentito assistere solamente uno dei soggetti coinvolti in una trattativa di mercato, con la “deregulation” si è invece radicalmente abolito il c.d. “divieto di conflitto di interessi” autorizzandosi il professionista, almeno in linea teorica, ad assistere contestualmente tutti e tre i possibili contraenti del negozio sportivo (ossia l’atleta, il club cedente ed il club cessionario). Al riguardo, tuttavia, l’intervento non parrebbe così invasivo dal momento dovrebbe concernere un divieto di assumere il “doppio mandato” soltanto con riferimento alle due società coinvolte nel trasferimento, lasciandosi invece la possibilità per l’agente di costituire/mantenere un contemporaneo legame con il calciatore ed una sola di esse (che poi è il caso certamente più frequente).

Venendo alla questione più spinosa, ossia quella relativa ai compensi, pare oramai certa l’introduzione di un tetto alla remunerazione garantibile all’agente (oggi invece libera) per ogni singola operazione. Da un lato, si è ipotizzato di fissare un percentuale massima di guadagno da calcolarsi sul prezzo di cessione (ovvero sul salario dell’atleta), differenziandone peraltro la misura complessiva a seconda che l’incarico venga conferito dal club che acquista o dal club che cede. Dall’altro lato, però, un tale limite non dovrebbe operare indistintamente, ma dovrebbe applicarsi solamente con riguardo ad operazioni i cui valori economici superano una predeterminata soglia. Considerando il nostro impianto costituzionale, non può tuttavia negarsi che, se confermate, tali previsioni recherebbero con sé non poche criticità, dal momento che sarebbero potenzialmente idonee, perlomeno in astratto, ad entrare in contrasto con principi di rango primario quali l’autonomia negoziale dei privati, la libertà di iniziativa economica e la proporzionalità della retribuzione.

Da ultimo, il presidente della Fifa ha avanzato l’ipotesi di prevedere la liquidazione dei compensi dovuti dai club agli agenti non più in via diretta da parte dal soggetto debitore, ma necessariamente per il tramite di una costituenda “camera di compensazione” (deputata a raccogliere e gestire tutta una serie di pagamenti connessi ai trasferimenti internazionali), circostanza che – benché pensata per garantire un maggior grado di trasparenza circa gli importi versati ed i conseguenti flussi finanziari – avrebbe altresì il pregio di garantire agli agenti certezza e tempestività dei propri pagamenti.

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Avv. Guido Gallovich
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