Cosa cambia con il nuovo Regolamento Agenti CONI (versione maggio 2020)

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Con Deliberazione della Giunta Nazionale n. 127 del 14 maggio 2020 è stato introdotto il nuovo Regolamento Agenti sportivi del CONI chiamato, in primis, a recepire le novità dettate, a livello statale, dal DPCM del 24 febbraio scorso (specie con riguardo al “riconoscimento delle qualifiche professionali in altri Stati membri dell’UE”).

IL NUOVO PERIMETRO OPERATIVO. Dall’analisi della novella – recante numerosi interventi innovativi in svariati ambiti della professione – ciò che tuttavia più colpisce, in considerazione delle possibili ricadute pratiche, è la diversa delimitazione del perimetro operativo dell’attività dell’Agente sportivo rispetto al passato.

A partire dalla riforma introdotta nel 2018, tutti i testi normativi di riferimento succedutisi nel tempo – tanto in ambito CONI, quanto in quello FIGC – hanno sempre qualificato l’Agente come colui che “mette in relazione due o più soggetti ai fini: i) della conclusione, della risoluzione o del rinnovo di un contratto di prestazione sportiva professionistica; ii) della conclusione di un contratto di trasferimento di una prestazione sportiva professionistica; iii) del tesseramento presso una federazione sportiva nazionale professionistica”.

La nuova formulazione dell’art. 1 comma 2 del Regolamento CONI in analisi, invece, se, da un lato, conferma, tra le attività tipiche del Procuratore, quelle rese da costui nell’ambito della stipulazione di un contratto di lavoro sportivo e del tesseramento federale, dall’altro lato, discostandosi peraltro dal citato DPCM, omette di considerare la prestazione finalizzata alla conclusione di un accordo tra società avente ad oggetto la cessione del contratto di prestazione sportiva dell’atleta. La portata di un tale dettaglio necessita di essere considerata alla luce dell’intero impianto normativo in commento.

Per un verso, appare rilevante soffermarsi sul nuovo testo dell’art. 18 comma 5 (letto in combinazione con il successivo comma 6). Ai sensi di tali disposizioni, infatti, è sancita l’annullabilità di un incarico conferito ad un Agente non solo nel caso in cui il mandato riconosca al medesimo la titolarità di “un interesse diretto o indiretto nel trasferimento di un atleta” (circostanza già contemplata anche nelle precedenti versioni del Regolamento, in aderenza alle disposizioni FIFA sui divieti delle Third Party Ownership), ma anche laddove l’accordo preveda in suo favore “premi, remunerazioni o qualsiasi vantaggio economico o patrimoniale in relazione al trasferimento di un atleta”.

La testuale impossibilità di percepire un qualsivoglia corrispettivo in occasione della cessione intersocietaria di uno sportivo, quindi, sembrerebbe confermare la volontà del legislatore CONI di sopprimere la possibilità per un Procuratore di ricevere da un club un c.d. “mandato a vendere” (o anche “ad acquistare”) un giocatore recante un compenso parametrabile – come invece fin qui riconosciuto (cfr. art. 5.8 comma 1 Regolamento agenti FIGC) – anche sul prezzo versato dal club acquirente per la cessione.

Per altro verso, però, tutto quanto fin qui esposto parrebbe in aperta contraddizione con le previsioni stabilite dal successivo art. 21 comma 7 del nuovo Regolamento CONI in commento, dal momento che – nel delegare alle singole Federazioni sportive la disciplina dei compensi degli Agenti – viene espressamente ribadito che le stesse hanno la facoltà di introdurre un limite massimo agli stessi espresso in termini percentuali sul reddito lordo complessivo dell’atleta risultante dal contratto di prestazione sportiva sottoscritto, ovvero “sul valore della transazione”, con ciò non potendosi intendere altro che il corrispettivo pagato per la cessione.

In ogni caso, il necessario coordinamento tra le previsioni analizzate dovrebbe, ci si augura, risultare dalla (inevitabile) pubblicazione del nuovo Regolamento FIGC chiamato, da un lato, a conformarsi all’impianto normativo CONI e, dall’altro, ad integrare la specifica regolamentazione negoziale dei contratti di mandato stipulabili dall’Agente.

GLI AGENTI STRANIERI. Un secondo nucleo di rilevanti novità, peraltro non di immediata comprensione, attiene alla disciplina dello svolgimento della professione in Italia da parte di Agenti “stranieri”, ossia soggetti che sono abilitati ad esercitare tale attività in seno a Federazioni di altri paesi.

Per orientarsi nella disciplina è utile partire dalle variegate definizioni delle singole categorie contemplate ai sensi dell’art. 2 del Regolamento.

Una prima figura professionale è quella dell’“agente sportivo stabilito” [art. 2, c. 1, lett. f)], il quale viene individuato nel soggetto che – a prescindere dalla propria nazionalità – “è abilitato a operare in Stato membro dell’Unione europea diverso dall’Italia e nell’ambito della corrispondente federazione sportiva nazionale di tale Paese, avendo superato prove equipollenti a quelle previste in Italia” e, come tale, è in possesso del “titolo abilitativo unionale equipollente” [art. 2 c. 1, lett. j)].

Si tratta, in sostanza, degli Agenti abilitatisi in Federazioni che, come le nostre, consentono l’accesso alla professione solo previo superamento di un esame di accertamento delle competenze tecnico-professionali. Peraltro, a differenza del passato, l’attestazione di equipollenza o meno di un titolo straniero (e quindi della prova abilitativa prevista in tale paese) non sarà rimessa alla discrezione della singola Federazione, ma avverrà – ex ante – per il tramite della elaborazione, da parte del CONI stesso, di una (ancora sconosciuta) “tabella di equipollenza” da intendersi, presumibilmente, come l’elenco delle Federazioni estere i cui procedimenti abilitativi sono ritenuti assimilabili ai nostri.

Utile evidenziare che solamente a tali soggetti sarà riconosciuta – in via immediata – la possibilità di iscriversi nella “sezione agenti sportivi” stabiliti del Registro Nazionale.

Per comprendere la disciplina dettata, invece, per i Procuratori iscritti in Federazioni straniere che non prevedono esami abilitativi equiparabili ai nostri è opportuno procedere ad un’opera di coordinamento tra le rimanenti definizioni del Regolamento, i commi 10 e 11 del relativo articolo 21 e le previsioni di cui al DPCM del 24 febbraio 2020, distinguendo – oltretutto – la situazione prevista con riguardo alle Federazioni comunitarie da quella inerente alle Federazioni non comunitarie.

Procedendo con ordine, pare, innanzitutto, doversi necessariamente far rientrare la totalità di tali soggetti nella categoria di coloro che detengono un “titolo abilitativo con riconoscimento soggetto a misure compensative” [art. 2 c. 1, lett. l)] dal momento che quest’ultimo, da un lato, viene definito – senza alcun riferimento alla nazionalità del singolo e/o della Federazione di appartenenza – come quello “avente carattere permanente, conseguito da un agente sportivo in assenza di prove equipollenti a quelle previste in Italia, che abilita a operare all’estero” e, dall’altro, rientra tra i requisiti soggettivi considerati per disciplinare, in via generale, l’istituto della domiciliazione (su cui a breve si ritornerà).

Un tale definizione, tuttavia, rischia di apparire fuorviante alla luce del fatto che la richiamata “misura compensativa” [intesa come “l’attività richiesta per il riconoscimento del titolo professionale abilitante all’esercizio di un’attività professionale conseguito in uno Stato membro dell’Unione europea, consistente, a scelta dell’interessato, in una prova attitudinale o in un tirocinio di adattamento non superiore a tre anni” (art. 2 c. 1, lett. d)], perun verso, è appannaggio dei soli iscritti in Federazioni comunitarie e, per altro verso, ove sostenuta, dovrebbe consentire a questi ultimi di ottenere, a tutti gli effetti, lo status di stabiliti.

Ciò chiarito, per gli Agenti appartenenti a Federazioni extracomunitarie (a prescindere dai requisiti abilitativi ivi previsti) o a Federazioni comunitarie che non prevedono prove equipollenti a quelle interne (e che non sostengono alcuna misura compensativa) è prevista la possibilità di operare in Italia per il tramite della domiciliazione “annuale” di cui al comma 11 dell’art. 21 del Regolamento, il quale stabilisce che “Prima della sottoscrizione di uno dei contratti di cui all’art. 1, comma 2, del presente Regolamento, gli agenti sportivi di cui al precedente comma 10 hanno l’obbligo, pena la nullità del contratto di mandato di cui al presente articolo, di eleggere domicilio, per la durata di un anno da tale elezione, presso un agente sportivo italiano o stabilito, che è tenuto ad operare secondo le istruzioni del domiciliante”.

È doveroso sottolineare che – non facendosi alcun riferimento alla nazionalità (e/o al domicilio) del professionista, ma solo a quella della Federazione di riferimento – tale facoltà dovrebbe essere consentita anche ai cittadini italiani residenti in Italia.

Da tale tipologia (generale) di domiciliazione va poi tenuta distinta quella, a carattere transitorio, prevista – oltretutto in termini inspiegabilmente molto più stringenti – dall’art. 23 del Regolamento esclusivamente “per gli agenti sportivi iscritti alla sezione agenti sportivi stabiliti del Registro nazionale prima dell’entrata in vigore del presente Regolamento, ma privi di titolo abilitativo unionale equipollente”.

Ferma restando la possibilità per gli stessi di ottenere “il riconoscimento professionale attraverso misure compensative”, ove ciò non avvenisse, l’“ex” Agente stabilito potrà beneficiare dell’istituto della domiciliazione – in questo caso necessariamente con riguardo a ciascuna singola operazione (e non su base annuale) – soltanto se “residente da prima del 1° gennaio 2018 o da almeno 5 anni nel Paese presso il cui elenco federale è registrato”.

Al riguardo, sono poi sancite una serie di ulteriori previsioni (deposito dell’accordo stipulato con il domiciliatario, responsabilità anche di quest’ultimo per violazioni compiute dal domiciliante, obbligo del domiciliante di superare una prodromica attività formativa) non altrimenti richiamate dalla disciplina generale dettata per i soggetti di cui all’art. 21 commi 10 e 11. 

REQUISITI DI ACCESSO. L’intervento innovativo del CONI ha riguardato anche i requisiti soggettivi di accesso alla professione.

In primo luogo, è stata estesa la facoltà di iscriversi nei Registri interni anche ai soggetti di nazionalità extra-comunitaria ma regolarmente residenti in Italia.

Per ciò che invece attiene alle restrizioni, si è deciso di impedire l’accesso al Registro Nazionale a tutti coloro i quali hanno riportato qualsivoglia condanna penale (anche non definitiva) per delitti non colposi negli ultimi cinque anni, a prescindere, cioè, dalla durata della pena detentiva inflitta (prima fissata nella soglia minima di due anni). In senso opposto, per i soggetti incorsi in sanzioni per la violazione delle norme sportive anti-doping (prima sempre esclusi dall’accesso al Registro), l’iscrizione è consentita solo se siano già trascorsi 5 anni dall’irrogazione della sanzione e la stessa sia comunque inferiore ai due anni di squalifica.

DURATA DELL’ISCRIZIONE. Un significativo cambiamento si registra, poi, con riferimento alla durata annuale dell’iscrizione, la quale non sarà più calcolata in base al giorno di effettivo accreditamento, ma decorrerà dal 1° gennaio al 31 dicembre di ogni anno (con obbligo di rinnovo in qualsiasi momento prima della relativa scadenza). Ne deriva che – ai sensi dell’art. 25 comma 5 – “le iscrizioni al Registro nazionale, effettuate nel corso del 2019 ovvero sino all’entrata in vigore del presente Regolamento, hanno validità fino al 31 dicembre 2020, a condizione che siano versati diritti di segreteria pari a 250,00 euro”. Appare ragionevole ritenere che, dovendosi le singole Federazioni conformare a tale novella, anche le stesse – per i rinnovi del 2020 – riducano proporzionalmente le rispettive quote di iscrizione.

È opportuno però segnalare che tale disciplina non trova applicazione nei confronti di chi, nel 2020, effettuerà la prima iscrizione al Registro. Benché anche per essi la scadenza sia sempre fissata nella fine dell’anno solare, tali soggetti, infatti, saranno comunque tenuti a versare per intero i contributi economici di iscrizione (ossia 250 € di marca da bollo e 500 € di diritti di segreteria).

VALIDITÀ DELLA PROVA D’ESAME GENERALE. Di notevole importanza è la precisazione, contenuta all’art. 16 comma 3, secondo cui “Il giudizio di idoneità alla prova generale dell’esame di abilitazione nazionale [ossia il superamento di entrambe le due prove, scritto e orale, dell’esame CONI] ha validità biennale”, con la conseguenza che gli interessati avranno a disposizione ben 4 sessioni per sostenere con successo l’esame di parte speciale in ambito federale prima di dover eventualmente ripetere anche quello di parte generale.

REGIME SANZIONATORIO. Per quanto attiene alle sanzioni previste per la violazioni commesse dagli Agenti, il rinnovato art. 20 ha raddoppiato il limite minimo e quello massimo delle ammende pecuniarie (fissandoli rispettivamente in 10.000 e 100.000 €), oltre ad aver portato la durata massima della sospensione da 24 a 36 mesi.

Cambia anche il procedimento disciplinare volto ad accertare e punire le infrazioni imputabili agli Agenti, il quale viene strutturato in tre gradi di giudizio. Alla Commissione Agenti Federale – prima incaricata di svolgere soltanto le funzioni inquirenti e requirenti nel procedimento innanzi all’omologo organo del CONI – viene infatti affidato il ruolo di giudicante in primo grado. La relativa pronuncia sarà quindi impugnabile prima davanti alla Commissione Agenti CONI e, in ultima istanza, presso il Collegio di Garanzia dello Sport.

Sul piano delle conseguenze negoziali in ipotesi di coinvolgimento di un soggetto non abilitato nell’attività riservata agli Agenti, è stato poi recepito – in aderenza alle previsioni già contenute nel DPCM dello scorso febbraio – il principio secondo cui tale indebita partecipazione non determinerà più la nullità del negozio sportivo sottostante. In tal caso, infatti, sempre fatte salve le consuete competenze professionali riconosciute per legge (su tutte quelle dell’avvocato chiamato a rendere la propria attività consulenziale tipica all’interno dell’ordinamento sportivo), sarà considerato nullo solo l’eventuale mandato conferito al “procuratore abusivo” (art. 21 comma 6).

Con riguardo a tale fattispecie, peraltro, l’articolo in commento appare significativo – benché la qualificazione e la perseguibilità della stessa spettino alle Autorità statali secondo le normative penali (sostanziali e processuali) di riferimento – laddove richiama l’applicabilità all’art. 348 del codice penale a norma del quale è sancito che “Chiunque abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta  una speciale abilitazione dello Stato è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 10.000 a euro 50.000”.

DEPOSITO DEL MANDATO. Di fondamentale rilevanza pratica sono infine le disposizioni previste dal comma 8 dell’art. 21 in tema di deposito del mandato sottoscritto con il cliente sportivo presso la Federazione sportiva di riferimento.

Ai sensi della norma in questione, viene infatti stabilito che, da un lato, tale incombenza grava sull’Agente sportivo (e non più sulla “parte più diligente”) e, dall’altro, che “il contratto di mandato ha efficacia dalla data di deposito”, con la conseguenza che nessuna attività potrà essere svolta dal Procuratore fino all’inoltro dell’accordo alla competente Commissione Agenti (il quale può tuttavia avvenire a mezzo PEC).

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