Il problema dei “fringe benefits” nel calcio

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Non esiste convegno in tema di procuratori sportivi in cui non venga fatto almeno un rapido cenno all’argomento dei cosiddetti “fringe benefits” in ambito calcistico.

Per comprendere la portata della questione occorre svolgere un duplice ordine di argomentazioni con riguardo, da un lato, allo status del calciatore professionista e, dall’altro lato, alla attività professionale tipica svolta dal procuratore.

SUBORDINAZIONE E FRINGE BENEFITS – Sotto il primo profilo è bene ricordare che la natura civilistica del rapporto lavorativo che si instaura tra atleta e società in conseguenza della sottoscrizione del contratto di prestazione sportiva professionistica è, a tutti gli effetti, riconducibile nell’alveo della subordinazione.

Ne deriva che le somme di denaro percepite dal calciatore debbono quindi inquadrarsi come redditi da lavoro dipendente la cui disciplina applicabile – per ciò che, in particolare, concerne gli aspetti fiscali – è quella ordinaria.

In quest’ottica, è indispensabile sottolineare che, come sancito dall’art. 2099 c.c. e chiarito dalla circolare ministeriale n. 326/E/1997, rientrano a pieno titolo in tale tipologia reddituale anche tutti i benefici “reali” (con ciò intendendosi quelli non direttamente liquidati in denaro) garantiti al lavoratore, in aggiunta alla remunerazione monetaria, dal datore (o anche da soggetti terzi) se previsti in relazione al rapporto di lavoro espletato (c.d. fringe benefits).

Ne rappresentano comuni esempi quei beni e/o servizi (automobile, telefono cellulare, unità abitativa, prestiti a tasso agevolato, etc.) forniti al dipendente in ragione dell’esercizio della propria attività lavorativa.

Sulla scorta di tali considerazioni, le criticità che tale impianto normativo fa sorgere nel contesto del calcio professionistico attengono alla possibilità o meno di qualificare come fringe benefits anche le prestazioni rese dal procuratore sportivo nell’ambito di una negoziazione di un contratto di lavoro sportivo.

LA PRESTAZIONE DEL PROCURATORE – Occorre infatti premettere, venendo così al secondo ordine di questioni sopra menzionate, che – ai sensi dell’art. 2 del Regolamento FIGC del 2015 – la preminente attività svolta dall’agente consiste nell’assistenza e rappresentanza (indiretta) svolta in favore di una società sportiva e/o di un calciatore e finalizzata alla conclusione o risoluzione di un contratto di prestazione sportiva tra un giocatore ed un club, ovvero alla conclusione di un trasferimento di uno sportivo tra due società.

In particolare, il problema si manifesta ogniqualvolta a liquidare l’intero compenso sia solamente la società, benché la prestazione del procuratore non appaia resa da costui nell’esclusivo interesse della stessa, ma, al contrario, sia anche (o, talvolta, solo) riconducibile ad un preciso vantaggio del calciatore proprio dipendente.

In questa seconda ipotesi, infatti, è evidente che le somme erogate all’agente dal club per i servizi resi al proprio lavoratore subordinato siano idonee a venir qualificate come beneficio economico “extra-salariale” e, come tali, necessitino di venir tassate come reddito da lavoro dipendente.

VICENDE GIUDIZIARIE – È proprio in forza di tale principio che la magistratura ha, negli ultimi anni, intrapreso numerose azioni penali contro procuratori e dirigenti societari accusati di aver ideato un particolare meccanismo fraudolento, architettato per sottrarre redditi imponibili alle casse dello Stato, basato sulla falsa fatturazione alle sole società calcistiche di prestazioni in realtà rese a beneficio degli atleti assistiti in via di fatto.

Appare doveroso precisare che ciò che rileva in questo schema non è la mancanza di identità tra il soggetto beneficiario dei servizi di assistenza resi dal procuratore (il calciatore) ed il soggetto che ne versa il relativo compenso all’agente (la società con cui il calciatore stipulava il contratto), quanto l’inquadramento fiscale che le parti davano a tali erogazioni.

In quanto somme elargite dalla società calcistica in qualità di datrice di lavoro a beneficio dei propri lavoratori subordinati (i calciatori), su tali importi –  assumendo gli stessi, come detto, la veste di “fringe benefits” – i club avrebbero dovuto operare le ordinarie ritenute fiscali e previdenziali non potendo nemmeno, data la particolare natura e l’ammontare degli stessi, dedurne i costi a bilancio (come diversamente avviene, ad esempio, in caso di acquisto di auto aziendale concessa in uso al lavoratore).

Diversamente, le società – grazie anche all’utilizzo in fattura di causali del tutto slegate dall’effettivo servizio reso dall’agente (quali, su tutte, l’espletamento di generiche attività di “scouting”) –  facevano figurare i menzionati pagamenti come corrispettivi per prestazioni rese nel solo ed esclusivo interesse dei club con conseguente possibilità per questi ultimi non solo di dedurne il costo dalla base imponibile, ma anche di recuperarne l’IVA versata.

RIFORME LEGISLATIVE – Per fronteggiare tale fenomeno – tanto dilagante, quanto di difficile accertamento sul piano pratico – la Legge di stabilità 2014 ha introdotto un meccanismo di presunzione legale (idoneo a fondare un prelievo fiscale “fisso ed automatico”) in forza del quale ogniqualvolta a remunerare il procuratore fosse stata la società, le relative somme avrebbero dovuto considerarsi per l’85% come costo aziendale, mentre per il restante 15% come fringe benefit.

Tale impostazione ha tuttavia avuto vita breve essendo stata abrogata dalla successiva Legge di stabilità 2016 e, peraltro, senza che il Legislatore si premurasse di dettare una contestuale disciplina sostitutiva. Tra le principali ragioni di questo cambio di rotta deve certamente sottolinearsi l’abolizione del c.d. “divieto di doppio mandato” in capo all’agente introdotta dal nuovo Regolamento Procuratori del 2015, il quale consente a questi ultimi di rappresentare ed assistere nell’ambito della medesima operazione negoziale sia il calciatore, sia la stessa società.

Non può sottacersi, al termine di questo breve excursus normativo, che, sull’argomento, è al vaglio del Parlamento un apposito disegno di legge (“proposta Bernardo”). In particolare, citando letteralmente la presentazione di tale proposta stesa dai suoi firmatari, “con l’articolo 1 della proposta di legge si introduce nella disciplina relativa all’IRAP una norma che espressamente riconosce deducibili, ai fini della medesima imposta, i compensi corrisposti dalle società sportive ai procuratori nell’ambito delle trattative aventi ad oggetto le prestazioni degli sportivi professionisti. La norma, di carattere interpretativo e pertanto applicabile anche per i rapporti pendenti, esclude la possibilità di considerare quali benefìci accessori i compensi corrisposti ai procuratori”.

PROFILI PRATICI – La citata riforma della professione di procuratore sportivo intervenuta nel 2015, offre un determinante spunto conclusivo per ricondurre la questione sul piano della pratica.

Se, infatti, fino all’aprile del 2015 l’esplicito divieto di doppia rappresentazione calciatore/club nella medesima operazione “determinava” l’interesse (illegittimo) dell’agente a sottoscrivere il contratto di mandato solo con la società (e non con il calciatore assistito) nonostante svolgesse, di fatto, la propria attività principalmente a vantaggio dell’atleta (e ciò per ovvie ragioni di diversa capacità patrimoniale dei soggetti coinvolti), il venir meno di tale restrizione consente oggi al procuratore di salvaguardare in modo pienamente lecito quelle prerogative che prima erano del tutto inattuabili.

Partendo dal presupposto che, abolito il c.d. “divieto conflitto di interessi”, l’agente può farsi legittimamente portatore, oltre che delle istanze del proprio calciatore assistito, anche di quelle del club intenzionato a concludere con lo stesso giocatore un contratto di lavoro sportivo, laddove il procuratore sottoscriva con entrambe le parti un contratto di mandato oneroso (secondo i dettami del citato Regolamento) e, pertanto, preveda il pagamento dei propri servizi in capo sia al club, sia al calciatore, le somme versate dal club non potranno dunque in alcun modo essere inquadrate come fringe benefits.

Il riconoscimento di un distinto ordine di prerogative devolute al procuratore, da un lato, dal club e, dall’altro lato, dal calciatore, accompagnato da un’effettiva remunerazione dell’agente da parte di entrambi tali soggetti (ciascuno per la propria parte), comporta la chiara possibilità per la società di riferire detta spesa ad un proprio legittimo interesse e come tale non assoggettabile alla disciplina dei fringe benefits ma a quella dei costi aziendali (con conseguente beneficio sul piano della deducibilità fiscale).

A tal proposito, proprio allo scopo di far emergere in modo inequivocabile l’esposta distinzione, è consigliabile per il procuratore evitare l’utilizzo del c.d. “mandato congiunto” (in forza del quale il rapporto con le due parti si costituisce per il tramite di un unico documento contrattuale), dovendosi preferire la stipulazione di due diversi mandati ciascuno con proprio autonomo oggetto.

 

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